Spunti d’intervento • Il negoziato sulle Prospettive finanziarie, il cui esito definirà il bilancio dell’Unione allargata per il settennio 2007-2013, ha registrato nelle scorse settimane una forte accelerazione dovuta alla determinazione con cui la Presidenza lussemburghese tenta di giungere ad un’intesa politica al prossimo Consiglio Europeo del 16-17 giugno. • Dato il momento che stiamo attraversando, mi sembra d’obbligo una importante premessa. Non credo che l’esito negativo del referendum in Francia, ed eventualmente un analogo esito negativo nel referendum nei Paesi Bassi, possano indurre la presidenza a modificare i propri programmi. A maggior ragione, proprio alla luce di quanto si è verificato, c’è da attendersi che si accresca la pressione a dimostrare che l’Unione è in grado comunque di funzionare e di definire l’articolazione e la struttura del proprio bilancio per il periodo 2007-2013. • L’ultima proposta negoziale presentata dalla Presidenza, oggetto della riunione straordinaria dei Ministri degli Esteri di domenica 22 scorsa, non presenta ancora cifre definitive, ma indica delle “forchette” per le varie rubriche di spesa del bilancio dell’Unione dalle quali è possibile dedurre la soluzione di compromesso sulla quale si sta orientando la Presidenza e che verrebbe sottoposta alle deliberazioni del Consiglio Europeo. • In materia di tetto complessivo di spesa, la proposta prevede attualmente un ammontare complessivo, in termini di stanziamento di impegno, pari ad un valore situato tra l’1,06% e l’1,09% del PIL comunitario. Il valore più alto rappresenta una soluzione intermedia tra le richieste della Commissione (1,24% del PIL) e quelle dei sei Paesi “rigoristi”, favorevoli ad un tetto di spesa pari all’1% del PIL (Germania, Francia, Regno Unito, Austria, Svezia e Paesi Bassi). • I tagli proposti dalla Presidenza, che porterebbero il bilancio dell’Unione al di sotto di 900 miliardi di euro a fronte dei 1.027 miliardi di Euro richiesti dalla Commissione, si concentrano sulla rubrica 1a (le spese per la competitività) e 1b (politiche di coesione), rispettivamente per circa 50 e 40 miliardi di Euro. Per la rubrica 2 (spese agricole) la proposta conferma gli stanziamenti decisi nel 2002 per gli aiuti diretti e sostegno ai mercati e propone invece una riduzione degli stanziamenti per lo sviluppo rurale dell’ordine di circa 12-20 miliardi. Ulteriori riduzioni sono previste per le rubriche 3 e 4 (rispettivamente spese per libertà, sicurezza e giustizia e relazioni esterne dell’Unione). • Sul piano delle entrate, infine, la Presidenza propone una parziale revisione del “rimborso britannico”, ovvero lo “sconto” ottenuto dal Regno Unito a partire dal 1984 sul proprio squilibrio del saldo netto verso il bilancio comunitario e che viene ripartito sugli altri Stati membri. La proposta della Presidenza consisterebbe nella stabilizzazione del volume complessivo del rimborso medesimo ai livelli attuali (4,5-5 miliardi di Euro all’anno), che altrimenti sarebbe destinato a raggiungere gli 8 miliardi in media nel 2007-2013, con una ipotesi di riduzione progressiva (i cui aspetti tecnici sono da verificare). Tuttavia, tale proposta viene affiancata dalla creazione di un meccanismo di rimborso ad hoc per i cosiddetti tre maggiori contribuenti netti (Germania, Paesi Bassi, Svezia), limitato al periodo 2007-2013. • Per quanto riguarda l’Italia, la posizione negoziale fin qui tenuta è stata determinata dalla necessità di contenere lo squilibrio del saldo netto agendo su tre fronti: limitando le spese, assicurando dei ritorni adeguati per il Paese e, in particolare, per le nostre Regioni beneficiarie delle politiche di coesione, e, infine, sul fronte delle entrate del bilancio comunitario, ottenendo una revisione sostanziale del rimborso britannico. • Le attuali proposte della Presidenza non soddisfano, tuttavia, il nostro Paese per i motivi seguenti: • In primo luogo, la proposta disegna un bilancio dell’Unione non coerente con gli obiettivi che l’Unione stessa si è data (Strategia di Lisbona per il rilancio della crescita e dell’occupazione e solidarietà con le Regioni meno sviluppate), con una spesa agricola che occuperebbe circa quasi la metà del bilancio (43%), mentre si avrebbero risorse insufficienti per la competitività e la coesione. • Per quanto riguarda le Regioni italiane, le riduzioni operate sui fondi disponibili per l’Italia a titolo delle politiche di coesione rispetto alle proposte della Commissione, sarebbero dell’ordine del 15-22%, ossia circa del 10-21% per le Regioni del Mezzogiorno (cosiddette Regioni Obiettivo 1: Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), e del 22-25% per le altre Regioni. • Ricordo che a tali proposte originarie della Commissione l’Italia, riprendendo una richiesta fatta con la Germania sin dal 2002, aveva chiesto una parità di trattamento per le regioni con pari grado di sviluppo che avrebbe portato gli stanziamenti per le regioni Obiettivo 1 ben al di sopra di quanto concesso. Mentre la proposta lussemburghese ha accolto le modifiche prospettate nella distribuzione di risorse fra regioni, avanzate dai principali altri Paesi europei, così non è stato per la proposta italiana. • In secondo luogo, la proposta della Presidenza appare incompatibile con la situazione della nostra finanza pubblica e con gli impegni assunti dall’Italia nel contesto del Patto di Stabilità e Crescita in quanto l’impatto sul nostro contributo netto al bilancio dell’Unione potrebbe raggiungere lo 0,4-0,5% del PIL nazionale, per un totale di circa 7-8 miliardi di Euro all’anno. • Infine, la soluzione che la Presidenza propone per quanto riguarda la revisione del meccanismo di rimborso al Regno Unito è altrettanto insoddisfacente per il nostro Paese, che allo stato attuale contribuisce al 23% di tale valore con un contributo al bilancio comunitario di circa 1,1 – 1,2 miliardi di euro all’anno. A fronte infatti di un “contenimento” del volume complessivo di tale rimborso, che avrebbe l’unico vantaggio di stabilizzare il nostro contributo, la Presidenza propone di istituire in parallelo un meccanismo analogo anche per Germania, Paesi Bassi e Svezia che rischierebbe di incidere in maniera rilevante sul nostro saldo netto. • Ho più volte ribadito che l’Italia è favorevole al raggiungimento di un accordo politico al Consiglio Europeo del mese prossimo. Un accordo in giugno consentirebbe, infatti, alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri di predisporre la legislazione comunitaria necessaria a rendere operativa la nuova programmazione, sia sui fondi strutturali che sulle altre politiche, il cui inizio è previsto il primo gennaio 2007. • Nel corso del “conclave” di domenica scorsa, ho tuttavia ancora una volta sottolineato che la qualità dell’accordo finale rappresenta per noi un aspetto prioritario rispetto ai tempi. L’assenso del Governo italiano al compromesso dipenderà quindi dalla sensibilità che la Presidenza e gli altri Partner vorranno mostrare nei confronti delle nostre legittime preoccupazioni, che abbiamo ripetutamente e con fermezza rappresentato nel corso delle riunioni comunitarie e degli incontri bilaterali. • La Presidenza lussemburghese ha convocato un ulteriore “conclave” per il 12 giugno prossimo, al fine di giungere ad un compromesso da sottoporre all’attenzione dei Capi di Stato e di Governo nel vertice del 16-17 giugno. In vista di tali appuntamenti, la Presidenza dovrebbe quindi diramare, entro la fine della prossima settimana, una nuova proposta. • Auspichiamo che, questa volta, venga tenuto debito conto delle posizioni espresse da parte italiana. Se così non fosse, confermeremo la nostra impossibilità di aderire ad un eventuale consenso e faremo presente che, in tali circostanze, sarebbe molto più corretto prendere atto per tempo che non esistono le condizioni per un accordo, piuttosto che tentare di forzare la mano nei confronti di questo o quel Paese membro. • D’altra parte, sarebbe controproducente per l’immagine dell’Unione – ancor più in un momento così delicato della sua storia – se, invece di procedere ad una constatazione dell’opportunità di proseguire congiuntamente negli sforzi alla ricerca di un accordo, si dovesse giungere nel prossimo Consiglio Europeo ad uno scenario di rottura, con la conseguenza che i futuri negoziati diverrebbero ancora più difficili.