La mia considerazione iniziale è che l’Europa attraversa una crisi molto profonda. La bocciatura del Trattato costituzionale è per l’Europa un colpo molto grosso perché nell’idea del Trattato Costituzionale era stata investito molto capitale politico. Lo stesso nome di “Costituzione” era una scommessa molto alta, forse eccessiva, ed una maggiore prudenza da parte del presidente della Convenzione sarebbe stata giudiziosa. Grande rilievo è stato dato alla bocciatura francese e olandese ed alla decisione degli inglesi di non convocare il referendum. Fondamentalmente il Trattato è stato collocato in un binario morto. Perché è stato bocciato il Trattato? All’indomani del no Barroso ha detto che non è stato bocciato il testo del Trattato ma il contesto, cioè l’immigrazione per l’Olanda e l’economia per la Francia e buona parte dell’Europa. L’eurobarometro negli ultimi due anni ha segnalato come in tutta Europea, e soprattutto in Germania, Francia ed Italia, il problema della disoccupazione sia al primo posto. L’insoddisfazione sul piano economico è quindi all’origine del problema e della grande caduta di consensi dell’idea europea. A tale situazione bisogna rispondere con fermezza ed immediatezza per evitare un ulteriore raffreddamento della situazione in atto. Il problema era stato segnalato nelle memorie di Delors il quale nell’84 scriveva che, poiché ogni cittadino pensa che il progetto di integrazione europea è essenzialmente economico, se il potere d’acquisto è calante e la disoccupazione aumenta, lo stesso cittadino non può che vedere l’Europa in termini negativi. Tanto più difficile è la situazione economica tanto meno credibile è il progetto europeo. Lo dicono i sondaggi di opinione. Queste parole che sembrerebbero dette ieri, furono pronunciate da Delors nell’84, e furono seguite da quello che io ritengo uno dei migliori periodi della Commissione e dell’intera Comunità. Si verificarono cioè una serie di episodi di successo dopo un periodo di grandi insoddisfazioni economiche. Per questo motivo la mia convinzione di fondo di questi anni e mesi di crisi dell’Europa è che prima di ripartire con le istituzioni l’Europa deve ripartire con l’economia, con lo sviluppo economico. Se così non fosse la crisi dell’Europa potrebbe aggravarsi anche perché gestire un’Europa a 25 è molto più complicato (lo si è visto ultimamente col bilancio). Questa opinione è presente anche in Europa da molto tempo. Come ricordava Fossati, l’Agenda di Lisbona, che prevede un programma di piena occupazione, risale al 2000 quando, all’indomani della creazione della Banca centrale europea, ci si è posto il problema della crescita, cioè di affiancare alla politica di stabilità finanziaria una politica di sviluppo economico fissando l’obbiettivo della piena occupazione per il 2010 ed indicando le politiche da perseguire. Il problema centrale è che alle impostazioni di Lisbona, che in linea di principio sono condivisibili, non ha corrisposto l’individuazione degli strumenti di governo (politica economica) da utilizzare per i fini indicati da Lisbona. L’obiettivo veniva quindi lasciato nelle mani dei governi senza nessun supporto. Nel 2004 il Rapporto Kok ha constatato che nulla era cambiato e che nel complesso l’obiettivo di Lisbona rimaneva distante dall’Europa tanto quanto lo era nel 2000. Germania, Francia ed Italia sono i principali Stati dell’Europa continentale con condizioni economiche largamente simili che testimoniano il fallimento di Lisbona. Nei Consigli europei di marzo e giugno è stato deciso il rilancio della strategia di Lisbona. Decisione giusta ma tardiva per impedire il fallimento del Trattato costituzionale, se il motivo del fallimento è appunto il contesto economico. Lisbona è la base per la ripresa del processo di integrazione politica dell’UE, per lo sviluppo economico e per la piena occupazione. La decisione dei capi di Stato e di governo degli Stati membri è di dare maggiore sostanza al problema della governance del processo di Lisbona. E’ stato chiesto in primo luogo alla Commissione di formulare delle linee guida sulla base delle quali gli Stati nazionali devono formulare dei Piani nazionali di Lisbona. E’ stata inoltre prevista la figura di un Ministro nazionale che sia in grado di coordinare gli sforzi di attuazione del processo di Lisbona. E’ stato quindi compiuto un grosso passo in avanti. E’ rimasto completamente oscuro, però, il problema delle responsabilità che spettano, in questa nuova versione di Lisbona, alle Istituzione europee; e su questo punto vorrei attirare maggiormente la vostra attenzione. Sotto quale tipo di rapporto con le istituzioni europee gli Stati devono perseguire gli obiettivi di Lisbona? Un rapporto di sorveglianza o di incentivo? L’Italia ha preso molto sul serio questo problema ed il 15 ottobre, data ultima per la presentazione dei piani, solo 9 paesi, compresa l’Italia, avevano presentato il proprio progetto. 13 paesi lo hanno consegnato successivamente e 3 (fra cui Germania e Polonia) devono ancora oggi presentare il piano. Siamo d’accordo quindi che l’Europa ha bisogno di sviluppo e che questo processo di sviluppo deve avvenire lungo le linee tracciate da Lisbona. Ma veniamo ora alla sostanza. Primo problema: senza criticare gli aspetti monetari e fiscali, concentriamoci sulla flessibilità dei mercati e la concorrenza soprattutto nel campo dei servizi, settore che rappresenta il 70% del reddito nazionale dei paesi europei ed il 20% del commercio infra-europeo. Problema fondamentale è che l’impostazione assunta dall’UE è completamente lontana dalla logica di crescita economica e di sviluppo prospettata a Lisbona. Facciamo 2 esempi: nel volume annuale delle previsioni macroeconomiche della Commissione europea, cap. 10 riguardante l’Italia, si dice che qualora il deficit fosse più alto del previsto il rinvio delle spese di Lisbona al 2007 potrebbe essere una scelta opportuna. Leggendo questo capitolo sono stato colpito negativamente dal fatto che si dice, anche a livello europeo, che le spese da destinare a Lisbona debbano essere posticipate. La conferma di questa impostazione arriva anche dalla proposta di comunicato, che credo verrà approvata, dell’Ecofin che si sta tenendo in questi giorni e di cui vi do lettura anticipata: “la Commissione deve prendere atto, in primo luogo, delle minacce che incombono sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze nazionali”. Se l’unico obiettivo che si pone l’Europa è la stabilità finanziaria, cioè avere i conti in ordine, ciò richiede avere un enorme volume di tasse in ogni singolo paese membro e non preoccuparsi più del fatto che chi paga le tasse sia vivo o morto. Il problema è quindi quello di rendere compatibile il problema della stabilità finanziaria con quello dello sviluppo, non subordinare lo sviluppo alla stabilità, perché se una simile politica fosse attuata l’Europa sarebbe condannata a morte certa in quanto ai timori dei cittadini europei non si può rispondere con l’obiettivo della stabilità. E’ vero che l’obiettivo della crescita e dello sviluppo economico non può essere perseguito in Europa per mezzo delle politiche monetarie e fiscali , ma è anche vero che non può non essere perseguito affatto. Concludo aprendo un nuovo problema che intendo portare avanti: durante il recente incontro fra il governo italiano e quello francese, ho esposto al Presidente Chirac ed al Ministro francese per le Politiche Comunitarie il problema che in Europea esistono due guardiani della stabilità (la Banca centrale ed i Ministri dell’Ecofin), ma non riesco ancora ad individuare i guardiani dello sviluppo. Sembra che vi siano quindi due cannoni puntati sulla stabilità, ma nessun cannone puntato sullo sviluppo. A chi spetta in Europa la responsabilità dello sviluppo? Né all’Ecofin né alla Banca Centrale. Esiste una sede in cui l’Europa abbia una responsabilità di coordinamento e di stimolo per Lisbona? A differenza della Francia che non auspica nessun coordinamento a livello europeo, noi italiani chiediamo con forza un coordinamento europeo per Lisbona così come esiste coordinamento europeo sul controllo dei bilanci. Anche la parte di sviluppo ha bisogno di essere monitorata. C’è bisogno di una governance europea per lo sviluppo. Se non nasce una governance dello sviluppo, l’Unione europea è destinata ad arenarsi. Come si può restituire speranza ai giovani senza la prospettiva di un futuro migliore, di crescita? Tutti gli Stati, in mancanza di crescita, tornerebbero a proteggere interessi nazionali ed il progetto europeo si immiserirebbe nei piccoli numeri. Vogliamo ridurre l’Europa a questo stadio? Fino ad ora l’Europa ci ha dato solo una visione burocratica dello sviluppo.