Vorrei ringraziare il CNEL ed il suo Presidente per avere, non solo operato insieme al Dipartimento per l’organizzazione di questo incontro, ma anche per averlo ospitato e diretto con la sua cortesia e competenza. Il dibattito è stato molto interessante, ed il suggerimento che è venuto da ultimo è di un formato un po’ diverso, tenendo conto della Legge n. 11, cioè di un coinvolgimento più pieno del CNEL e delle sue Commissioni in fase di preparazione di questa Conferenza, in maniera da portare a questa Conferenza, da un lato le elaborazioni del Governo e, dall’altro, l’elaborazione di questa fede politico-istituzionale: è un impegno che sentirei di prendermi ed un suggerimento che mi sentirei di accogliere. Poi starà agli elettori italiani decidere se a farlo sarà una maggioranza come questa o un’altra maggioranza. Sono cose che lasciamo ormai in eredità al futuro, come in un certo senso è in eredità il Piano di Lisbona che noi abbiamo predisposto nei tempi che l’Unione Europea ci aveva chiesto che, per l’Italia coincidono con le elezioni e, dunque, è un lavoro su cui si dovrà misurare. Mi fa piacere che il giudizio, che nel complesso emerge dalle Parti Sociali ed anche dalle organizzazioni territoriali che oggi hanno preso la parola, nel complesso, sia un giudizio positivo come base perlomeno di discussione. Affronterò molto brevemente alcune questioni nate dal dibattito politico. Naturalmente qui il Governo portava il Piano di Lisbona; e quindi il mio compito è soprattutto di ascoltare. Tuttavia qualche osservazione desidero farla sollecitata dal dibattito, in particolare dagli interventi dei sindacalisti. Sul piano politico, Pezzotta ha detto che parlare qui di cose specifiche sull’Europa può non servire se noi non affrontiamo il problema politico. Qui c’è una crisi dell’Europa. L’aveva detto del resto l’Ambasciatore austriaco a nome del suo Governo che pone come primo obiettivo della Presidenza austriaca la ricostruzione di una fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee come base per una ripresa del processo di integrazione politica, o come base per riprendere il cammino dell’approvazione della Costituzione Europea. Il problema, interessante da affrontare, è: come si fa a riportare la fiducia dei cittadini europei? E, da cosa deriva il venir meno della fiducia? Questa è la prima domanda che si di deve porre. Cosa ha fatto venir meno o sta facendo venir meno la fiducia dei cittadini europei nell’Europa? Ci sono tante risposte a questo problema. Si può dire (i) il tasso burocratico delle istituzioni europee; (ii) la lontananza; (iii) la pessima qualità delle leggi, per cui si parla di migliorarne la regolazione. La mia opinione del resto corrisponde ad una cosa che scrisse Delors nel 1984 quando prendeva la Presidenza. Delors, con pratico buonsenso e con la personalità che poi ha dimostrato nel corso degli anni (è stato il miglior Presidente che la Commissione Europea abbia avuto, almeno da quando io ricordo, ma comunque la personalità più forte) diceva, nel 1984. “… c’è una crisi delle istituzioni europee” (ed in quel momento si parlava di “Eurosclerosi”). Questa crisi nasce – diceva – dal fatto che quando i cittadini europei vedono che i prezzi aumentano e l’occupazione diminuisce, non si vede come possano avere fiducia nell’Europa! E da questo, Delors prese spunto per le sue iniziative che, non a caso, riguardarono in primo luogo il completamento del Mercato Unico. E lo dico ai miei amici sindacalisti che hanno tante perplessità sul mercato unico dei servizi. Se 20 anni fa non si fosse fatto il mercato unico dei capitali ed il mercato unico delle merci, probabilmente…. Il modo deve essere quello di realizzare l’obiettivo. Se siamo d’accordo, siamo d’accordo! Il punto di questa questione è che la crisi dell’Europa è una crisi di ordine economico. La crisi di fiducia nell’Europa è secondo me una crisi di ordine economico. Del resto, gli Eurobarometri, cioè i sondaggi periodici che fanno, mettono al primo posto nelle preoccupazioni degli europei – e non solo degli italiani, ma soprattutto in Francia, Germania ed Italia – la condizione dell’economia, il posto di lavoro, ma mettono anche la dinamica dei prezzi. Sostanzialmente preoccupazioni economiche connesse con i prezzi. Quindi, non si riprende il cammino dell’Europa se non riprende la crescita economica. E qui allora vengono i problemi. E’ giusta la preoccupazione che ha esposto il rappresentante della UIL sull’eccesso di attenzione per Maastricht. E tuttavia Maastricht è un Trattato europeo. I Trattati europei non si abbattono: si cambiano! Il Trattato europeo su questo punto non verrà cambiato perché ci sarà sempre perlomeno uno dei paesi – ma ce ne sono tantissimi – che ritiene che la condizione necessaria per la costruzione europea è la stabilità finanziaria. Se l’Italia non avesse voluto condividere questa impostazione, avrebbe dovuto opporsi all’inizio degli anni ’90, quando si discuteva il Trattato di Maastricht. Ma l’Italia, a mio avviso giustamente, scelse di non opporsi a quella impostazione perché sapeva che il vincolo europeo avrebbe esercitato un effetto positivo sull’Italia. E lo ha esercitato! Non c’è dubbio che abbia esercitato un effetto positivo. Se non ci fosse stato l’Euro – lo dico in rapporto alle polemiche che ci sono dentro la maggioranza e dentro l’opposizione – sicuramente la situazione italiana sarebbe molto più pericolosa. Ma questo non vuol dire però che sia stato sufficiente entrare nell’Euro, perché questa è l’illusione. Se mi consentite un riferimento di ordine politico, anche se non è questa la sede per un discorso puramente politico, questo è il limite che vidi allora (e allora facevo parte della maggioranza). Ed ebbi netta la sensazione che quella maggioranza – che aveva il merito e che tuttora ha il merito storico di aver portato l’Italia nell’Euro – sottovalutasse le difficoltà che nascevano dalla partecipazione all’Euro. E lo ha scritto un economista molto lontano dalle mie idee, che è Giangiacomo Nardozzi, un economista molto intelligente, vicino ad uno dei Partiti della Sinistra che, scrivendo sul Sole 24 Ore, in un articolo lucido, uscito a metà del mese di agosto, disse che hanno torto – o avevano torto – sia i fautori dell’Euro che i contrari dell’Euro perché i contrari all’Euro pensano che l’Italia avrebbe avuto un destino migliore non partecipando all’Euro (che è un errore per le ragioni evidenti), ma avevano torto anche i fautori dell’Euro perché questi hanno pensato che entrare nell’Euro fosse la condizione sufficiente, fosse una promozione nella Serie A. Ma la partecipazione ad una Serie superiore comporta anche dei rischi molto più alti. L’Italia è un paese che è entrato nell’Euro ma che non ha saputo misurare le difficoltà. Ogni tanto sento dire “Guardate la Germania”: ha recuperato competitività internazionale in questi anni e l’Italia l’ha persa! Noi produrremo – se questo dibattito continua – alcuni numeri. Sono molto semplici. Qual è l’effetto dell’Euro sul Marco tedesco? L’effetto che ha avuto l’ingresso nell’Euro è stato di introdurre una zavorra rispetto al Marco. Il Marco si rivalutava ogni 2-3 anni nel Sistema Monetario Europeo. Aver messo monete cosiddette ”deboli” dentro il Marco è servito da zavorra al Marco. Il Marco avrebbe avuto delle rivalutazioni ulteriori dopo il 1998 se non ci fosse stato il Sistema Monetario Europeo. La Lira avrebbe avuto delle svalutazioni, perché il modello che noi ci siamo costruiti – Governo, Parti Sociali – è stato un modello basato sulle svalutazioni. E si possono giudicare positivamente o negativamente. Ma era parte di quell’accordo implicito della politica economica di questo paese. Cioè i sindacati erano liberi; le imprese concedevano sui contratti… Poi veniva una svalutazione e, in qualche modo, si recuperava la competitività. Per 30 anni è stata questa la politica economica, con la spesa pubblica che serviva come olio oliatore di questo meccanismo. L’Euro è servito da zavorra per il Marco e da mongolfiera per la Lira! La Lira oggi vale di più di quella che sarebbe valsa se fossimo stati fuori dall’Euro. Il Marco vale di meno. Non lo possiamo sapere perché la storia non la possiamo fare senza averla fatta, ma questa è la questione. Il che vuol dire che per l’Italia l’ingresso nell’Euro – che ripeto era necessario politicamente, economicamente e finanziariamente con il nostro debito pubblico – era una condizione preliminare rispetto alla quale ci voleva una politica. Che è quella che non c’è stata. Qual è questa politica? Caro Pezzotta, anch’io sono favorevole al modello sociale. E’ chiaro che l’Europa non può rinunciare al modello sociale europeo. La domanda brutale che io faccio è: “L’Europa, e intendo dire la Germania, la Francia e l’Italia, tutti e tre paesi malati, difende un modello sociale. Ma è sicura di poterlo difendere?” E’ giusto dire che noi siamo attaccati al nostro modello sociale. Certo che siamo attaccati alla Scuola relativamente poco costosa o gratuita; alla Sanità relativamente poco costosa o gratuita; alle Pensioni più elevate possibili. E’ chiaro. Vogliamo una società che garantisca oggi quello che garantiva già 20 o 30 anni fa. Ma la domanda non è se qualcuno vuole o non vuole questo modello sociale. Blair (che è socialista) rivoltosi al Parlamento Europeo quando è venuto a luglio scorso a presentare il semestre, ha fatto un bellissimo discorso. Io ero presente. E, parlando al Parlamento Europeo e soprattutto rivolgendosi ai paesi continentali, ha detto che il modello sociale è bellissimo! Ma ve lo potete permettere? Blair ha detto: “Noi ce lo possiamo permettere perché abbiamo il 4% di disoccupazione. Ma voi ve lo potete permettere che avete 20 milioni di disoccupati? (5 milioni in Germania, 2 milioni in Francia, etc)”. C’è il problema della competitività – e qui torno ai servizi. Veramente è possibile pensare che il sistema dei servizi, ad esempio, possa far crescere l’occupazione? Il sistema dei servizi è fatto da imprese piccole, almeno all’inizio come era Google o come era Microsoft. Quel sistema lì può nascere con un sistema di contratti in cui il precariato sia abolito? E’ veramente pensabile che nascano imprese americane in una realtà così francese, per non dire italiana? Veramente è pensabile questo? Cioè è pensabile dire che non si può avere la concorrenza dalle imprese polacche? Cioè che le imprese polacche e ceche non debbono o non possono concorrere nel resto d’Europa, a condizione che i loro costi siano uguali a quelli del resto dell’Europa? E’ questo il modo con cui siete favorevoli alla direttiva sui servizi? Vale a dire liberalizzazione dei servizi a condizione che chi presta servizi in Francia abbia costi uguali a quelli che sono necessari ad un’impresa francese per produrre i servizi? Se questa è la condizione, è chiaro che non c’è concorrenza! Siccome in Europa il 70% del reddito è basato sui servizi ed il 20% del commercio inter-europeo è in servizi, la direttiva servizi vuol dire il principio del paese d’origine e vuol dire il principio del mutuo riconoscimento. Delors nel 1986 scrive, ricordando il mercato interno, che se noi avessimo seguito non il principio del mutuo riconoscimento ma il principio dell’armonizzazione, noi saremmo ancora all’inizio del processo del mercato interno. Invece abbiamo detto che a noi non importa sapere che tutte le automobili siano fatte nello stesso modo, ma ci basta sapere che siano fatte tutte in un paese dell’Europa. Le merci che originano in un paese dell’Europa debbono poter viaggiare in tutta Europa. Questo è il principio del mutuo riconoscimento e questo è il principio della direttiva dei servizi. Ecco l’impostazione. L’Italia dovrebbe avere molto coraggio in questa direzione: se non avrà coraggio, se la Francia non avrà coraggio e se neppure la Germania avrà coraggio, l’Europa diventerà preda della concorrenza internazionale. E alla fine il modello sociale europeo…… Voglio dire una cosa brutale. Una parte del finanziamento del modello sociale europeo è arrivata dal basso prezzo delle materie prime. Messo in termini che non piacerebbero a Bertinotti, è arrivata dallo sfruttamento coloniale. La Cina e l’India sono la risposta alla ricostruzione di rapporti mondiali che le persone civili del mondo occidentale hanno sempre considerato inevitabile e giusto. Ma dobbiamo sapere anche le implicazioni di questo. Se il modello sociale europeo non lo possiamo finanziare con i prezzi delle materie prime basse, se non lo possiamo finanziare con le imposte sui capitali – perché i capitali scappano -, lo dobbiamo finanziare con l’alta produttività. E l’alta produttività richiede flessibilità, concorrenza, e così via. Se siamo pronti a questo, forse salviamo il modello sociale europeo. Se non siano pronti a questo, noi finiremo in condizioni di arretratezza sempre più forte. Questi sono i problemi. Vogliamo affrontarli? Questo è il problema italiano, francese e tedesco. Aiuterebbe molto se l’Europa fornisse una cornice (come ha detto, credo, il rappresentante della UIL). L’Europa è sorda. Noi abbiamo posto il problema in questi mesi con Savona. Molte volte si dice: “Allora, noi facciamo i Piani Nazionali. Ci dite, ad esempio, chi è il sig. Lisbona nella Commissione Europea?” Non c’è. Il realtà il sig. Lisbona nella Commissione Europea è Almunia. E se voi guardate l’esame che hanno fatto del nostro Piano Nazionale nel documento della Commissione, si dice che il Piano è fatto piuttosto bene. Abbiamo solo due grandi preoccupazioni: la stabilità di bilancio ed il mercato del lavoro. E’ come uno che ritorna sempre con il pensiero ad una certa cosa. La Commissione Europea dice “voi dovete fare lo sviluppo. Però se dovete tagliare, tagliate le spese per Lisbona. Se fate questo, però, mi raccomando, vogliamo sapere se il vostro Piano di Lisbona aiuta la stabilità!” Noi sappiamo benissimo che aiuterebbe la stabilità a crescere di più, ma in fondo se Lisbona e Maastricht non sono messe in linea, è meglio che prevalga Maastricht! Probabilmente anch’io – se messo in questi termini – sarei d’accordo, tanto è vero che ho detto che l’Italia ha fatto bene a scegliere l’Euro. Ma l’Euro senza Lisbona, cioè la stabilità senza la crescita, prima o poi porta a sgretolare le istituzioni europee. Ecco i termini politici del problema davanti al quale noi siamo. Spero di poter prendere un’iniziativa in Europa. Naturalmente, avere un buon Piano Nazionale, avere il sostegno attorno a questo Piano Nazionale delle Parti Sociali – anche il sostegno molto critico e dialettico come questo – aiuta moltissimo in sede sia italiana che internazionale. Grazie molto al CNEL e a tutti i partecipanti.