Cari amici repubblicani, condivido appieno la relazione del segretario nazionale ed in particolare il sostegno che il partito repubblicano ritiene necessario dare alla ricerca scientifica. Ma il mio intervento partirà dalle valutazioni economiche che facevano gli amici Gallo e Trezza, e dalle preoccupazioni dell'amico Cimatti sulla situazione economica del Paese e dal giudizio che egli ed altri amici della minoranza hanno dato sull'azione del governo Berlusconi in questi anni. Quello economico è il primo problema da mettere a fuoco in un partito che si sta rimettendo in piedi faticosamente. Come osservava Riccardo Bruno nel suo intervento, per la prima volta dopo molti anni il partito ritrova un confronto interno sereno e civile e di questo faccio merito all'amico Francesco Nucara. I risultati positivi si vedono. La situazione economica del paese è certamente molto difficile. Non ci sono dubbi sulla stagnazione, la perdita di competitività, il calo delle esportazioni. Il governatore della Banca d'Italia nella sua relazione del 31 maggio faceva risalire le ragioni di queste difficoltà ad almeno 10 anni. Riccardo Gallo qualche mese fa mi ha mostrato una tabella che evidenzia che le quote del commercio internazionale dell'Italia sono diminuite del 20% negli ultimi dieci anni, passando dal 5% al 3,7% del commercio mondiale. Si tratta di una caduta fortissima ed è avvenuta nei primi 5 anni del decennio, cioè tra il 1996 e il 2000, durante i quali la quota del commercio internazionale è calata al 3,7% per poi registrare una lieve crescita e restare stazionaria su questi valori. Dunque colpa di Prodi? Sarebbe una polemica spicciola sostenere che il centrosinistra abbia lasciato un paese stremato che aveva perso il 20% del proprio commercio internazionale e che il centrodestra non abbia fatto di peggio. Il problema non è questo. La produttività italiana è in calo da 15 anni. I guai dell'Università altrettanto. La crisi italiana è una crisi che ha origine moltissimo tempo fa. E non vi deve sorprendere che la sola diagnosi seria del problema italiano è contenuta in un documento che risale all'aprile del 1963, nella nota aggiuntiva che l'allora ministro del Bilancio, repubblicano, scrisse sui problemi dello sviluppo economico del nostro paese. Quella Nota Aggiuntiva non ha mai avuto pratica realizzazione, così come la politica dei redditi, che ne era la logica conseguenza, e nonostante questo ha costituito la base dell’identità del partito repubblicano nei successivi 40 anni. Cioè se il partito repubblicano ha avuto quella che Cimatti chiama un'identità, oltre all'identità storica mazziniana importantissima, essa è stata in relazione non ad un successo politico, ma ad uno dei tanti insuccessi politici della nostra storia, cioè nell'avere scritto qualche cosa che riguardava la vita italiana e come uscire dai problemi in essa presenti. E quella analisi non ha mai avuto una risposta. In che cosa consisteva l'analisi della Nota Aggiuntiva? Lo ricordo perché ci ritroviamo a quarant'anni di distanza a fare i conti con quello stesso problema. L'analisi della nota aggiuntiva, era che il meccanismo spontaneo di sviluppo che era stato straordinario dal ‘48 in avanti, il miracolo economico italiano, chiamiamolo così, si avviava al suo esaurimento. La Nota Aggiuntiva ne intravedeva la fine, a meno che la politica non fosse in grado di trovare una risposta ai problemi che si erano presentati dalla ricostruzione, dalla caduta delle barriere doganali. Problemi di equilibrio allora, fra l'agricoltura e l'industria, fra il nord ed il sud e fra i beni privati e quelli pubblici. Cioè si diceva: se noi non riusciamo a fare infrastrutture, invece che consumi privati, a localizzare lo sviluppo nel Mezzogiorno, invece che averlo spontaneamente nel triangolo industriale, ad avere un rapporto fra l'industria ed altri settori, moderni o da modernizzare, se la politica non affronta con serietà queste questioni , non ci sarà niente da fare. Si trattava di problemi concernenti consumi ed investimenti, cioè si trattava di sapere se la società italiana, dovesse privilegiare la crescita, "l'espansione orizzontale dei consumi", o "l'espansione verticale dei consumi". Cosa era l'espansione orizzontale? L'espansione orizzontale voleva dire che lavorava più gente, con salari più contenuti. L'espansione verticale era, invece, che in ogni famiglia lavorava una persona con salari crescenti che dovevano servire a mantenere il resto della famiglia per trent'anni. L’apologo dei fratelli di una famiglia, ricordate, era questo: è sufficiente che ne lavorino due, con salari sempre crescenti, o devono lavorare tutti e tre? Erano gli interrogativi politici che poneva il partito repubblicano, che ebbe il suo successo in quella sconfitta, Cimatti. Cioè nell'avere indicato i problemi del Paese e di non averli visti risolti. Ma aveva avuto da un governo democristiano la possibilità di portare all’attenzione dell’Italia quei problemi. Cioè un piccolo partito aveva avuto la possibilità di avere una responsabilità di governo per indicare i problemi del Paese. Non era stato schiacciato ed ucciso dai suoi alleati, era stato rispettato dai suoi alleati. E qual'era la diagnosi? La diagnosi era che la spinta spontanea si sarebbe esaurita, a meno che non ci si potesse innescare sopra una politica di programmazione, di scelta fra i consumi e gli investimenti, per la quale era necessaria una politica dei redditi, cioè un accordo con le parti sociali. Quando tornai dall'America nel 1966, dopo aver scritto un articolo con Franco Modigliani, avevo solo 26 anni ed ero piuttosto orgoglioso, perché anche se Modigliani non era ancora premio Nobel era considerato uno dei maggiori economisti al mondo. L'articolo criticava la Banca d'Italia. Dicevamo che essa aveva sbagliato politica e che ci voleva la politica dei redditi. Un lungo articolo scientifico che fu alla base della mia carriera accademica. Piacque a moltissimi, alla sinistra per niente. Ci furono decine di articoli di sinistra, dove ci spiegavano che le nostre analisi erano sbagliate. Ma uno a cui non piacque davvero fu mio padre, che mi disse "voi non capite niente, tu e questo Modigliani che io non so chi sia. Perché siccome voi siete degli economisti, pensate che la politica dei redditi consista nel mantenere i salari nell'ambito della crescita della produttività per evitare l'inflazione. Ma questo non è il problema italiano. Questo è un problema tecnico, perché è chiaro che, se i sindacati sbagliano e chiedono aumenti salariali più alti della produttività, l'inflazione se li mangia questi aumenti”. Come è avvenuto durante i 15 anni successivi. Il problema – diceva mio padre - è che noi dobbiamo controllare non la dinamica dei salari monetari, dobbiamo controllare la dinamica dei consumi e degli investimenti, perché se l'Italia vuole diventare la Svezia, come vorrebbe Fassino, allora deve investire. La Svezia ha investito, ha fatto ospedali, scuole. Se un paese come l'Italia vuole sviluppare i consumi non farà gli ospedali. Se vuole sviluppare gli ospedali non potrà sviluppare i consumi. Ecco la polemica sulla televisione a colori che l'Italia non ha mai capito. Non perché la televisione a colori non fosse un prodotto moderno, ma perché le risorse o vanno in una direzione o vanno in un'altra. Questa è la problematica che è stata posta in quegli anni. Ma è stata capita? A volte mi domando se l'abbiano capita i repubblicani, perché una parte di quegli stessi repubblicani che oggi critica noi, criticava la politica dei redditi. Io non mi posso dimenticare che il sindacato repubblicano, che stava soprattutto in Romagna, ha attaccato per 30 anni questa politica, bollandola come una visione reazionaria. Cioè fino a quando la sinistra non ha dovuto ammettere che si trattava di un'impostazione moderna, loro ci dicevano che si sbagliava tutto. Io me li ricordo i congressi repubblicani. Ricordo Vanni e i sindacalisti repubblicani che ci davano dei reazionari, perché stavamo con la destra, cioè con la Dc. E non ci chiedevano di rompere con la Dc e di allearci con il PCI? Sono trent'anni che la sinistra repubblicana dice questo. Continua a dirlo. E se la maggioranza del partito è d'accordo lo fa e se non è d'accordo peggio per voi. E noi non siamo d'accordo. Mi fa piacere che voi ci siate, mi fa piacere che ci sia una dialettica civile, ma dovete sapere che sbaglieremmo se tornassimo nel centrosinistra, per la semplice ragione che non sapremmo cosa farci dentro quel centrosinistra. E oltretutto non vincerà neanche le elezioni. Questo ve lo dico adesso, per chi è interessato, sempre che Follini non ci metta del suo, ma non credo. Che cosa è avvenuto dopo la Nota Aggiuntiva? Allora la politica della Nota Aggiuntiva era un accordo con le parti sociali per governare i consumi e gli investimenti, perché un paese come l'Italia che doveva raggiungere la piena occupazione, doveva avere la forza di controllare le dinamiche ed a quel tempo c'era molta più impresa pubblica, era più facile rispetto a oggi. C'erano strutture pubbliche e non si era prevenuti come poi è stato. Trent'anni fa potevi dire: l'Iri ha una funzione. Oggi se dici cose di questo genere, l'Europa tutta a cominciare da Blair ci chiede se siamo matti. E che cosa avvenne? Che non fu fatto nulla di quello che era necessario. Ma per molti anni l'economia italiana ha potuto fare a meno di quel problema, perché ha avuto due valvole di sfogo rispetto al problema della politica dei redditi per evitare l'inflazione e quella della politica dei redditi per controllare la dinamica dei consumi e degli investimenti. Che strumenti aveva? Sul primo problema, quando i sindacati spingevano, si svalutava, e quindi attraverso la svalutazione e la conseguente inflazione, si rimettevano a posto i rapporti fra salario e produttività. Il secondo quando c'era un problema di consumi e di investimenti, si fingeva di risolverlo con il debito pubblico. Cioè si spiegava che non c'era un contrasto fra aumentare gli stipendi ed aumentare gli investimenti, perché gli stipendi, li aumentiamo con le risorse, cioè con il fisco e per gli investimenti ci indebitiamo. Quindi il problema posto con la Nota Aggiuntiva fu accantonato. Fu trovata una finta compatibilità nel debito pubblico e nella svalutazione. Questo è durato per trent'anni. Poi è venuta la crisi petrolifera che poneva delle questioni. Cominciando dalla risorse. Sviluppiamo l'energia nucleare per affrancarci dal petrolio, diceva Colletto. No, ma perché dobbiamo affrancarci, basta comprare l'energia in Francia, perché dobbiamo sporcarci con l'energia nucleare? Ma non abbiamo i soldi! C’è il debito pubblico. E così noi abbiamo smontato l'industria nucleare, la tecnologia nucleare, l'università, la ricerca scientifica. L'Italia era uno dei paesi all'avanguardia nella ricerca scientifica nel campo nucleare. Adesso abbiamo voglia a dire che occorre il rilancio della ricerca scientifica. Ma se non ci sta più. Avevamo un università in cui si producevano grandi scienziati, grandi ingegneri, abbiamo fatto terra bruciata. Nemmeno la crisi petrolifera del '73, '74 è stata tale da dare una scossa. E si è andati avanti così fino all'inizio degli anni '90, quando l'integrazione europea ci ha messo con le spalle al muro. L'Euro ed il trattato di Maastricht, hanno voluto dire per l'Italia, che i due meccanismi fondamentali con i quali il paese aveva finto di non dovere fare i conti con i problemi reali dell'accumulazione dei capitali e dello sviluppo economico, venivano eliminati. Ha fatto bene o fatto male l'Italia ad aderire al trattato di Maastricht? Per noi si è chiarito l'equivoco. Ma per quelli che avevano usato per trent'anni con leggerezza quelle politiche, destra e sinistra sono accomunati nel silenzio. La Dc avrà forse malgovernato, ma la sinistra ha avuto l'eccesso ideologico con cui ha sfasciato l'Italia. Io sono stato deputato a Torino. La violenza dell'attacco alla Fiat da parte del sindacato, del Pci, degli intellettuali di riferimento ha fatto sì che questa impresa, peraltro neanche troppo ben gestita, ha fatto sì che si trovasse nelle condizioni in cui stiamo. Oggi corrono tutti al capezzale della Fiat. Ma è il capezzale di un'impresa che si voleva morta, "perché il capitalismo andava sconfitto". Beh, non era ancora caduto il comunismo. "Adesso abbiamo capito tutto", ci dicono. Ma intanto il paese è stremato. Non c'è più una grande impresa. L'odio contro di esse ha fatto la sua parte. Le uniche imprese che passavano il vaglio erano quelle piccole, specialmente in Emilia Romagna così si mettevano d'accordo con la Regione. La piccola impresa nelle regioni rosse veniva protetta perchécosì diventava una riserva politica. La grande impresa è stata il nemico della sinistra italiana. Oggi la vorrebbero avere: "come sarebbe importante avere dei campioni nazionali". Peccato che li avete combattuti per tutta la vita. Olivetti, Montecatini Edison, Pirelli, FIAT. Dite voi se c'è ancora una grande impresa in Italia? Non c'è più niente. E adesso dobbiamo affrontare le economie dei paesi emergenti dalla Cina all'India, senza avere più gli strumenti. Le partecipazioni statali, uno strumento formidabile dell'Italia capace di cambiare il volto del nostro paese nell'immediato dopoguerra, sono diventate una nostra vergogna. Gestite dal 55 in avanti in una maniera drammatica e gli anni peggiori sono stati quelli presieduti da Prodi. Lo dico con rimpianto perché fu Spadolini a nominare Prodi presidente dell'Iri. C' è una lettera dell'allora ministro del Bilancio che chiedeva al nostro Presidente del Consiglio: perché nomini questo professore che non ha le qualità necessarie ed è legato a una visione pubblica delle partecipazioni statali?. E naturalmente Spadolini rispose riportando le ragioni della realpolitik. E così all'Iri fu dato il colpo fatale. Riuscire a far fallire l'Iri richiede qualità e noi a quelle qualità vorremmo oggi affidare il paese? Ma tornando a Maastricht, devo dire che l'Italia fuori dall'euro sarebbe come l'Argentina, e grazie all'euro non corriamo questo pericolo. Quando nel 1997 fu chiaro che si entrava nell'euro, io andai ad una riunione del centrosinistra, una delle poche alle quali ci avevano ammesso. E dissi a D'Alema e a Prodi, guardate che adesso comincia il difficile. Naturalmente mi guardarono con fastidio. Voi – dissi -non avete idea di cosa significherà stare nell'euro. Non è una vittoria. E' una necessità. Ma ora dobbiamo trovare una politica adeguata per restare nell'euro, perché le due valvole di sfogo si sono chiuse. Agli amici repubblicani che vogliono stare a sinistra, devo dire che la sinistra può fare solo politiche di restrizione. Se domani vince il centrosinistra, quello che potrà cercare di mettere a posto sono i conti. Perché l'Europa chiederà di metterli a posto. Quindi un po' li faranno pagare ai sindacati, un po' alle Regioni, un po' ai comuni. E siccome controllano le Regioni, controllano i sindacati, controllano i comuni, lo faranno. Come siamo entrati noi nell'Euro? Siamo entrati così, per la bravura di Ciampi, che seppe indicare i capitoli dei tagli e la sinistra obbedì. Del resto il Pci entrò al governo del 1977 perché Lama diede l'ordine che i salari non fossero una variabile indipendente, perché fino a quel momento lo erano. Se il prezzo era di metterli al governo per arrestare l'erosione del potere d'acquisto, è stato bene metterli. Ma il problema italiano, quello descritto così bene da Gallo e Trezza, è il problema della restrizione? Certo, perché non possiamo eludere i vincoli di Maastricht, ma il problema italiano è quello della crescita e dello sviluppo, di rilanciare l'impresa, di dargli fiducia. Per cui se il problema italiano è riportare in ordine i conti, corriamo subito a sinistra, ma se il problema italiano è fare respirare il paese, far si che il reddito fiscale migliori, attraverso una ripresa, dobbiamo restare dove siamo. La sinistra non la può fare una politica di sviluppo. Siamo entrati nell'euro per merito della sinistra, attraverso il consenso sociale, ma non siamo in condizioni di fare un passo avanti con la sinistra. La condizione del paese è grave. C'era una storiella sovietica. La radio Ereval faceva le domande del catechismo sovietico. Qual è la differenza fra il capitalismo ed il socialismo. Il capitalismo porta l'economia del paese ad un passo dall'abisso. Ed il socialismo? Gli fa fare un passo avanti. Il passaggio dal governo Berlusconi a quello Prodi sarebbe questo. Nel senso che sotto il profilo dello sviluppo il centrosinistra, non è in grado di fare niente. Se ne è accorto anche il Sole24 ore, ed è per questo che sostengo che si vinceranno le elezioni, perché come voi sapete Montezemolo ha simpatia per il centrosinistra, ma non può spingersi oltre. Sul Sole 24 ore di oggi c'è un corsivo dal titolo: "La strana progressività proposta da Bertinotti". Scrive così: "Nel programma di governo dell'Unione non ci sarà alcun riferimento all'abolizione della proprietà privata". Una bella svolta, perché sono parole di Bertinotti. "Però - scrive il corsivo, in cambio di questa concessione ha proposto una forma di tassazione progressiva sugli immobili, cioè una forma di tassazione indiretta della proprietà privata. Se questo è il contributo della sinistra radicale al programma del governo dell'Unione, povero Prodi". Avvicinandosi alle elezioni, financo quelli che hanno interesse a fare un'operazione a sinistra incominciano a tirare i remi in barca. Che cosa si può fare allora? Un piano triennale. E' una fortuna che ci aiuterà l'Europa, che dopo aver fatto i conti con Maastricht e gli errori fatti in 40 anni, ci inviterà a non toccare gli strumenti monetari e la leva fiscale. Io magari non sono d'accordo ma il trattato sottoscritto ci impone questo. Non c'è niente da fare. Blair, che rappresenta la sinistra europea, è su questa strada. Gli unici che si oppongono sono Villepin e Chirac, la destra conservatrice a cui non consiglierei di legarsi troppo. Se volete salvarvi nuotate nella globalizzazione. I cinesi producono a metà del vostro costo? Arrangiatevi. O abbassate i salari, o rendete i lavoratori più produttivi, o li fate lavorare più ore, o mettete un incentivo di produttività, se volete trasferirvi di qua o di là, lo fate e se non va bene ai lavoratori restano a casa. I soldi possono solo servire per l'innovazione e quindi non per i forestali della Calabria, e così via. Se volete vi accomodate. Se non volete fatti vostri. Questa è la situazione internazionale. Dice Fassino: andiamo in Svezia. Ma la Svezia che lui ha in mente, lo diceva giustamente Riccardo Bruno, "è una Svezia che non c'è più". Se Fassino va in Svezia oggi, trova un paese che assomiglia all'Irlanda, o agli Stati Uniti. Trova quello che ha detto Blair e cioè che lo Stato sociale è frutto di un'economia che cresce, non può essere finanziato dal dissanguamento dell'economia, e ha ricordato con orgoglio che l'Inghilterra ha una disoccupazione al 4% e dunque abbiamo le più alte provvigioni per la disoccupazione, la riconversione, la formazione professionale di tutti voi. Come dire: noi cresciamo e tracciamo le condizioni per lo Stato sociale, voi non crescete e non siete in grado di difendere nemmeno lo Stato sociale che avete costruito. Lo dovrete smantellare. Allora il problema è crescere. E siccome non possiamo crescere attraverso gli strumenti della politica monetaria o della politica fiscale, e tantomeno con quelli dell'economia pubblica, dobbiamo crescere con gli strumenti dell'economia privata: flessibilità, liberalizzazioni, concorrenza. L'altro giorno il Financial Times scriveva che in queste condizioni la flessibilità dei mercati, non è un'opzione, è una necessità. Il piano triennale è basato su questa filosofia. E' la filosofia che in questi anni ci hanno indicato i futuri ministri del Tesoro della sinistra, i Monti, i Giavazzi, i Padoa Schioppa, i quali già si ritirano dalla sinistra. Monti ha scritto che lui non sta né con la sinistra né con la destra. Perché nessuno è in grado di attuare quello che egli pensa. Ma la destra sarà in grado di dirlo. Mentre la sinistra non è in grado di farlo e nemmeno di dirlo, perché la sinistra dovrà fare un compromesso di cui un caposaldo sono le stesse parole di Bertinotti che richiede la patrimoniale. Ma voi pensate di poter stare lì? Possiamo non stare da nessuna parte come pensa Guidazzi, ma per lo meno un tentativo di lasciare una traccia lo vogliamo provare a fare o no? Cimatti dice, non te lo lasceranno fare. Ma almeno me lo faranno scrivere. Cerchiamo di avere anche noi la nostra sconfitta che ci garantisca altri 40 anni. E poi perché dovremmo avere una sconfitta? Berlusconi con tutti i suoi difetti è un uomo che guarda avanti. Se noi possiamo scrivere un documento di questo genere in linea con l'Europa, questa è una condizione vera di rilancio del partito. Avete notato che dopo il referendum in Francia ed Olanda, Prodi non ha più fatto una dichiarazione sull'Europa. E la sinistra non è più in grado di parlare di cose internazionali. Qual è la linea del centrosinistra su Blair? Può esserci un dibattito, ma il socialismo di Blair è basato su un'idea di mercato che la sinistra italiana non ha acquisito culturalmente. Ed incontrandosi con i cattolici integralisti ha ancora reso più difficile acquisirlo. Sono indietro di trent'anni. Può un partito come il nostro ignorare questo problema? Nel '96 avevamo in comune l'esigenza di rispettare Maastricht, ma oggi che si tratta di salvare l'Italia e servono ricette coraggiose, che comportano financo a noi repubblicani, che siamo legati ad una visione pubblica dell'economia, non poche difficoltà. A me stesso richiedono una revisione, cresciuto come sono nella convinzione che le politiche monetarie e fiscali fossero uno strumento utile al benessere del Paese. Ma credo che sia necessario perché non potremmo scavalcare a sinistra Blair e trovarci a braccetto con il conservatore Chirac. Abbiamo l'occasione dopo molti anni di tornare a fare valere la nostra posizione, grazie al ruolo di governo in cui siamo stati chiamati. Credo che sia un merito da riconoscere al segretario Francesco Nucara ed al suo lavoro compiuto in questi anni, di cui tutti gli siamo grati. Ha preso il partito in condizioni molto difficili e lo ha sollevato. Il partito si sta rafforzando e credo che queste siano le condizioni migliori per poter andare avanti. Costruire è molto difficile, molto più che rompere e Nucara ha dimostrato grandi capacità. Basta vedere il rapporto instaurato con il mondo scientifico, il ritorno di amici importanti, come De Carolis, Ravaglia, Ugolini. Abbiamo una carta da giocare. Io ho difficoltà a pensare ad un'Italia che si affida a Prodi. Perché se avviene, dopo 5 minuti, cade in una depressione profonda, perché non c'è programma. Avere un Partito Repubblicano ancora vivo e capace di stare sulla scena politica, può aiutare a giocare questa carta nel modo migliore per dare un contributo al Paese per superare le sue difficoltà.